Nel 1922, un foglietto acquarellato di Hartung (nato a Lipsia nel 1904) era soltanto un messaggio crittografico, un annuncio incomprensibile ai più, rivolto a un tempo di là da venire. Studioso di varie discipline, dalla filosofìa alla astronomia, profondo conoscitore di musica e di storia dell'arte, Hartung si proponeva, con metodica e lucida applicazione, di trarre dal nucleo attivo dell'espressionismo gli elementi fondamentali di una nuova visione, ben distaccata e distinta dalle diverse correnti di avanguardia, sviluppate dalle matrici cubiste e futuriste del tempo. Gli acquerelli, seguiti subito dai disegni a inchiostro, dal 1923 al 1927, appaiono come i prototipi molto lontani dell'espressionismo astratto e della grafica informale.
Hartung conosceva, com'è ovvio, certe opere affini di Franz Marc e di Kandinsky, ma sapeva anche collocarle nel loro tempo, mentre si rendeva conto, invece, del valore e del significato delle macchie colorate e dei segni, di fini di una concezione diversa dell'arte, maturata attraverso una esperienza appassionata e, molto spesso, drammatica. Era necessario, per Hartung, riconoscere in quelle origini la validità delle prime intuizioni, che avevano costituito le sicure premesse di uno svolgimento interrotto soltanto, a causa della guerra, nel settembre 1939.
È il periodo del soggiorno a Parigi, dei viaggi in Europa, nelle Baleari: un periodo intenso di opere, molto spesso conclusive, e che, ancora una volta, si affermano in contrasto col tempo, per l'invenzione grafica, dal ritmo impetuoso e violento nelle linee tracciate con una partecipazione totale dell'essere; per il rapporto con lo sfondo colorato variante dalle tonalità più cupe a quelle più luminose, di ispirazione mediterranea; per la singolarità della visione, indipendente tanto dall'astrattismo geometrico di « Cercle et carré» e di « Abstraction-Création » quanto dai « Merz » di Schwitters e, in genere, dall'arte surrealista degli anni Trenta. L'unico riferimento possibile per l'arte di Hartung è, sino al 1939, la scultura di Julio Gonzales. I ferri, simboli di figure in moto, di piante tropicali, di oggetti, corrispondono molto spesso ai «segni» di Hartung: quei segni, però, visti come proiezione di una realtà ben diversa, di una realtà interiore, che non si esprime con le figure. Nel corso di circa vent'anni, Hartung ha confermato il potere espansivo della sua prima intuizione, attraverso una serie di problemi, che hanno definito il carattere di un'epoca e che, nella sua arte, appaiono risolti, come atti vitali, assolutamente autonomi, nella sfera di una lucida coscienza, nemica di ogni gratuità gestuale.
La costante ricerca di una verità, che non poteva esaurirsi in un mero artifìcio formale, è stata per Hartung la via alla scoperta di un mondo, quasi incomprensibile nel 1939, e che, dopo il 1945, doveva diventare lo spazio aperto agli interpreti della action painting e dell'informale, spesso ancora sotto l'incubo della disperazione e dell'angoscia.
Hartung era dunque attuale Ieri, come può esserlo oggi, perché la sua arte riflette, attraverso l'intensa carica emotiva, il senso profondo di una vita attivamente vissuta come azione e come pensiero.
Diceva Klee: « L'artista è come un albero le cui radici affondano nella terra ». Ciò è vero: altrimenti il segno sarebbe una linea tracciata a caso, ben poco rivelatrice. Inoltre, osserva René de Solier: « réfléchi, comme trace d'instinct, le trait est savant ». « Savant », in questo caso, significa « razionalmente controllato », anche se Hartung parla « d'improvvisazione » (ma non di automatismo), negando in tal modo che dalla rapidità del gesto possa nascere una scrittura soltanto automatica. La varietà delle linee e dei tratti, che risultano dalla «azione sulla tela», operata dal pittore, dimostra, in una specie di diagramma ideale, come si manifestano i diversi momenti emotivi, nei solchi larghi, nelle volute filiformi, nei graffi nervosi, nelle combinazioni grafiche verticali, negli arabeschi fantasiosi, negli intrecci capillari. Un mondo misterioso si compone e si scompone sul filo di una infinita matassa d'ispirazioni conscie e inconscie. È lo schermo di un'anima non inaridita dalla ragione, sensibile ai fatti della vita, capace di rompere talora il fiero limite della solitudine.
Dal 1945 in poi, gli sfondi dipinti, prima con la pennellessa, poi a spruzzo, preparavano per così dire, la superficie colorata, in un modo impersonale e meccanico, quasi per rendere incorporea la materia, per distruggerne i caratteri costruttivi, nel momento in cui essa tende a coagularsi in rilievi. Dal 1965, le tinte dello sfondo sono distese con lo spruzzatore in nuvole opache che si accavallano, lasciando negli intervalli qualche breve spazio più chiaro. Il rapporto del tessuto grafico con lo sfondo assume un carattere diverso da quello dei primi vent'anni. Il segno, in qualche caso, scompare addirittura, modificando così in un modo imprevedibile la visione di Hartung. I grafiti, ottenuti con punte aguzze di legno e di acciaio, che incidono la superfìcie dipinta, scoprendo il sottofondo bianco gessoso della preparazione, si annodano o si sciolgono in trame, grovigli o reticoli, che sembrano festoni sospesi sul vuoto o talora fili d'erba piegati in gruppi paralleli, motivi di astratta eleganza, senza possibilità di confronti con la vita vegetale, nonostante le parole impiegate per descriverli. È ben chiaro che ci si riferisce a un mondo immaginario, a un mondo segreto, nel quale il segno significa per se stesso, come valore, in uno spazio che è soltanto luce, ombra o contrasto di luce con l'ombra. I colori come le linee sono inventati, aloni
0 macchie sfumate, in cui predominano
i bruni, i grigi azzurrini, i neri, i gialli acidi, i verdi glaciali o i verdi smeraldo, scalfiti spesso anche questi dalle stecche, che creano nuovi ritmi, nuove dimensioni, nuove tensioni,
Altri effetti, più pittorici, Hartung ottiene sfregando la coloritura ancor umida con un mestichino dalla lama quadrata stretta e flessibile o con bastoncini d'osso o di legno, dalla punta smussata. La forza si alterna con la grazia: i tratti fortemente sfregati sullo sfondo scuro sembrano emanare vibrazioni luminose accanto alle tenui scalfitture capillari, che punteggiano le opache stesure di baluginanti motivi decorativi. Come si è detto, l'attuale mondo grafico e pittorico di Hartung è ormai ben diverso da quello degli anni fra le due guerre, ancora impregnato del senso della luce e della terra; vissuto nella realtà di vicende e di stati d'anima, che dovevano assumere più tardi aspetti sempre più tragici, cancellando definitivamente ogni nostalgia del passato, ogni ricordo, anche amaro, della giovinezza perduta. Hartung ebbe forse un attimo di smarrimento: le grandi macchie nere si dilatarono nello spazio dove campeggiavano i segni inesorabili, tracciati coi gessetti neri, premuti con forza sui cartoni o sulle carte. Le parallele violentemente imposte in sequenze verticali furono sommerse dalla volontà distruttiva dell'artista, che si sforzava di trovare altre soluzioni in quegli spazi recuperati.
L'unità del tono si sovrapponeva in zone colorate, piuttosto piatte, e del tutto inconsuete. La macchia si dilatava sino agli estremi margini, appena sfumati lungo l'intero perimetro, su uno sfondo più chiaro. Scomparso l'ordito grafico, la macchia oscura incombe, dilatandosi oltre i limiti della superfìce entro cui si addensa.
Forse Hartung stava pensando a un rinnovamento totale, a una specie di tabula rasa, da cui poteva procedere con un metodo diverso, con un diverso tipo di « improvvisazione ». Ma il problema più urgente era quello di rompere la massa opaca, di farla vibrare come il muro nero del cielo al guizzo improvviso di un lampo. Bisognava creare di nuovo il rapporto che con la sola pittura era mancato. E per far questo, per ristabilire l'equilibrio perduto, Hartung ricominciò con un breve tratto, con una linea, quasi invisibile, ma che simbolicamente scalfiva la vasta superfìce compatta. La linea tracciata ricreava lo spazio, all'Improvviso, moltiplicandosi poi in un fìtto tessuto ondulato, a losanghe, come una rete mossa da un ritmo serrato. Il tratteggio rianima ancora una volta lo sfondo con schemi grafici sempre più autonomi, spesso assoluti, appena scalfiti sulla tela o sul cartone, creando un nuovo ordine di rapporti, riferibili sempre tuttavia, come valori intensamente espressivi, a quella continua esplorazione interiore, che è l'assillo dell'artista-fìlosofo, illuminato dalle profonde intuizioni dell'artista-poeta,
Si perpetua quindi, con altri mezzi, quel processo, più volte analizzato, che risolve l'esperienza vitale nella immagine imprevedibile dell'arte. La mostra alla Galleria Bergamini conferma la continuità dell'opera di Hartung, articolata nei diversi modi di essere cui si è accennato, dando la misura del valore della sua presenza in tempi successivi al primo, sconcertante messaggio, in uno dei periodi più tormentati ed eversivi della storia dell'arte.
È indubbio che alla formazione di una civiltà artistica «moderna», fuori della tutela esclusiva dei grandi mostri sacri, Hartung ha contribuito ampiamente con la singolarità del proprio messaggio pittorico e con l'impegno di una scelta morale, che lo condusse a battersi per la libertà in uno dei momenti più tragici della storia d'Europa. Sarebbe però assurdo santificare, come oggi si usa, un artista ben presente, pur nella diversità delle tendenze e delle dottrine attuali, con la vitalità di un'opera che continua nel tempo.