Tradurre la suggestione del nome, tutti i significati magici o sacri che questa parola, simbolica per eccellenza, ha assunto nel tempo, in un'immagine, in uno splendore di colore e luce: è questo l'assunto che ha guidato il lavoro di Nicola Ottria in questo ciclo di dipinti.
Il nome assegnato al cristiano con il battesimo lo lega per sempre, indissolubilmente, alla storia di un santo: ogni anno l'onomastico ricorda e rinsalda questo legame; vicende favolose, che affondano in un tempo senza tempo, che annullano la distanza tra epoche e credenze diverse, entrano in contatto con la cronaca quotidiana, aprono un intervallo, una pausa nel rapido scorrere della contemporaneità.
La tradizione della pittura sacra è scandita dall'associazione costante, codificata, tra la presenza di un santo e alcuni attributi tratti da una precisa conoscenza dell'agiografia
che il pittore antico condivideva totalmente con il suo pubblico: gli attributi del santo costituivano un linguaggio, un tramite di comunicazione che non permetteva equivoci. Per il pubblico di oggi, il leone di San Gerolamo, la pelle di San Bartolomeo, la graticola di San Lorenzo, le frecce di San Sebastiano sono presenze visive familiari, anche se le vicende che stanno dietro questo sistema di simboli sono in buona parte perdute, o costituiscono solo vaghe reminiscenze.
A Ottria interessa la capacità evocativa del nome in quanto parola, per il suo stesso suono, ma per lui il nome è soprattutto importante perché è la conferma della testimonianza di un martire o di un evangelista, depositata nella memoria collettiva, anche se
in superficie dimenticata. Il nome, insomma, ha le sue radici nella spiritualità e insieme nell'arte di una comunità, che poi sono o devono tornare a essere la stessa cosa. La dimensione mitica della vita dei santi e la tradizione visiva della storia dell'arte italiana sono quindi le componenti fondamentali di questo lavoro di Ottria, nuovo proprio in quanto sa attingere all'antico, sa far emergere la continuità del passato nel presente. Nuova e antica è anche la soluzione espressiva che l'artista ha adottato per rendere questo complesso mondo poetico: una pittura che da un lato dichiaratamente s'ispira all'arazzo antico, tessuto di segni lucenti e colorati che riporta l'immagine sul piano, dall'altro recupera un'eredità di divisionismo ligure, di una pittura capace di rendere la percezione visiva della luce e la sua vibrazione attraverso l'accostamento fitto di tocchi e segmenti di colore.
L'immagine acquista così l'intensità e l'evanescenza di un'apparizione; è ben visibile, eppure impalpabile, senza corpo, se si cerca di afferrarla si scompone in una nebulosa di tasselli.
La tecnica del pastello, materia che si può sovrapporre ma non mescolare, permette di costruire questa intelaiatura di segni, un tessuto unitario, eppure distinto, che è memore dell'esperienza dell'Ottria incisore; il supporto stesso diventa materia: è la trama della carta che sgrana il pastello. I ritocchi a tempera creano le opalescenze, le velature, dall'insieme nascono lo splendore dorato dell'immagine e la sua ambiguità.
Simboli negativi e positivi al tempo stesso, prove di una tentazione o di un martirio e insieme gloriosi annunci di salvezza, gli attributi dei santi in queste opere si trasfigurano: la palma del martirio o la graticola diventano elementi geometrici o addirittura architettonici, l'agnello di Giovanni si scioglie in un groviglio luminoso che si riverbera sul volto del santo e poi sullo sfondo, le corde che legano Sebastiano serpeggiano, si muovono come dotate di una vita propria. Gli attributi diventano quindi elementi compositivi, occasioni di pittura, senza tuttavia perdere il loro valore referenziale.
La contraddizione tra il dolore dell'uomo e la beatitudine del santo, tra la debolezza, la fragilità estrema dell'uomo, solo davanti alle prove della vita e della morte, e la forza infinita del santo, si risolve nella fusione tra la bellezza della pittura e la misteriosa malinconia dell'immagine. Al fondo c'è però una contraddizione più profonda: la presenza della dimensione spirituale dentro la materia del vivere, l'antica esigenza della pittura di rendere l'invisibile con il visibile, di esprimere il mistero, anzi, il miracolo che si cela nell'apparente banalità di tutti gli eventi; c'è anche la natura stessa dell'uomo, nobile e brutale, il suo inferno e il suo paradiso.
Nella maggior parte dei dipinti l'immagine è costruita su un rapporto di verticali e orizzontali: la verticalità prevalente della figura del santo, parzialmente bilanciata dalla linea d'orizzonte, dritta e ben tracciata, o dalla posizione dell'animale, determina una struttura a croce slanciata verso l'alto, che dà una sensazione di ascesa, di risalita.
La struttura compositiva definita dal disegno è tuttavia travolta dall'ampio flusso diagonale di segni che l'attraversa: una ventata di colori che unifica tutti gli elementi della composizione, pur nel variare delle vibrazioni luminose.
Il tessuto della pittura, dall'andamento a volte ondoso, crea ambiguità tra la materia delle figure e quella del fondo: il segno che trapassa da superficie a superficie, dai corpi degli uomini e degli animali agli oggetti e al fondo, in un continuo processo metamorfico, crea la trama unitaria del quadro, la luce diffusa, il clima fiabesco ed evocativo.
La linea diagonale è la linea della mediazione, e il santo, come il Cristo, è mediatore, tra cielo e terra, tra colpa e salvezza, tra il peso della materia e la levità dello spirito.
C'è ambiguità nel paesaggio dipinto sulla pelle di San Bartolomeo; il corpo del leone di San Gerolamo diventa un tessuto fiammeggiante che a fatica si distingue dal fondo, le corna del cervo di Uberto si trasformano in arabesco splendente Può succedere che la drammaticità si stemperi in un'eleganza da emblema araldico, che i contenuti inquietanti, drammatici si trasfigurino nell'armonia dei colori complementari. L'immagine conosce certe movenze del gotico, certe gentilezze cavalleresche, nell'incedere di San Giorgio o nell'at-teggiarsi del piede di San Sebastiano, ma sa anche ritrovare, a volte, lo stupore e l'ingenuità dell'antica pittura, che, per mancanza di modelli, non sapendo come fosse fatto in realtà il leone, lo rappresentava con volto quasi umano.
C'è un'energia arcaica e al tempo stesso una sintesi moderna in queste composizioni, che, pur nell'immobilità ieratica delle figure dei santi, sono animate da un costante fluire, come l'eterno moto del mare, che sempre scorre anche quando sembra immobile.
Il ritmo è pacato, composto, la struttura salda, la composizione serrata, anche se all'interno la forma a volte è sfatta. Trame leggere di colori si sovrappongono a formare una sorta di statua d'oro, una forma plastica eppure immateriale; il fuoco del martirio di San Lorenzo c'è, è una presenza ben visibile, eppure non nasconde nulla, lascia che il santo appaia in pieno, come uomo e come riferimento per gli uomini.
La tecnica divisionista viene usata non per essere naturalista, ma per non esserlo, per dare una luce che è tutta della finzione, della pittura, che è tutta di una visione spirituale e non oggettiva; del resto, questo avveniva anche in quei dipinti di Rubaldo Me-rello dove il colore, perduta l'aderenza alla realtà, diventava trasfigurazione, espressione della libertà dell'arte.
Nell'opera di Ottria la ricchezza del colore - il blu prezioso come il lapislazzulo, il rosso, l'oro splendente - si unisce alla semplicità della composizione; la tendenza all'essenzialità si accompagna alla sottolineatura del particolare, ma, forse, è proprio nel particolare che sta la sintesi.
Il paesaggio della pittura antica è semplificato e interpretato da un'arte moderna che ha conosciuto lo spazio spoglio e rigoroso dell'astrazione geometrica, e che ha vissuto l'emotività e la sensibilità materica dell'arte informale.
La struttura e l'atmosfera di tutti questi dipinti comunicano la suggestione di un'aspettativa, di un'attesa: che cosa ci sarà oltre quel crinale, oltre l'orizzonte?
Forse qualcosa di meraviglioso?
In polemica con lo scetticismo, il cinismo di chi non ha altri orizzonti che quelli materiali, di chi si arrabatta ogni giorno a perseguire mete meschine e limitate, queste opere esprimono l'aspirazione ad andare oltre, un oltre che sta al di là delle cose, ma forse è già dentro le cose stesse.