Dipingere la montagna
Lo stesso grado di difficoltà che si oppone a chi vuole accingersi a scalare una vetta fa da ostacolo a chi vuole dipingerla. La montagna è comunque ostile - ancorché amica e prodiga di felicità per chi vi si accosta con timore, amore e reverenza - per chi ci vive e per chi vi ci si avventura, senza rispetto e devozione. Una montagna scalata senza preparazione può uccidere. Una montagna dipinta senza amore sarà una macchia nella carriera dell'artista.
Gianni Verna è un assai bravo incisore, ed è un pittore che in montagna ci va da sempre. E' uno di quelli che mangia il pane vecchio di quattro giorni per poter godere l'ebbrezza della vetta raggiunta, il fascino delle traversate da valle a valle per colli e colletti, da Ceresole a Cogne, dal Granpa alla Grivola e oltre ancora, su per il Bianco. Sempre col taccuino in zaino, e le scatole delle matite e degli acquerelli, peso in più e cibo in meno, ma che soddisfazione potersi godere l'alba che incanta di rosa il muro della Granta Parey dal rifugio del Benevolo mentre senti seraccare forte da sotto e fai sciogliere nella gamella un po' di neve per stemperare i colori; e poi dipingi coi guanti, e ti accorgi che le tinte che ghiacciano si arricchiscono di mille nuove screpolature che sembrano farle fiorire, ma che rivelano nuovi effetti sconosciuti e che cambieranno ancora quando il foglio, tornato al caldo, riprenderà ad asciugare. La montagna delle incisioni di Verna è dura e scabra. Non sa di foto di gitante e neppure di cartolina da turista, per quanto belle possano essere delle immagini fatte per poter piacere a tutti. Sono fogli che stupiscono. Che brillano di mille colori.
Ma la loro storia è lunga e complessa, perché prima di diventare una stampa le matrici sono state incise nel legno.
Quando il pittore torna a casa, riprende i suoi appunti, li sfoglia, li sparpaglia dappertutto nel suo studio, e poi sceglie le pagine più belle e decide di elaborarle per farne delle incisioni. Per ogni foglio prepara tre tavole uguali di legno, spesse un paio di centimetri e ben levigate, e su ognuna ripete il soggetto prescelto. Ma non in modo eguale, perché ogni tavola dovrà, dopo essere stata incisa con coltelli scalpelli sgorbie e ciappole, essere spalmata di un solo colore, sempre lo stesso, blu giallo e rosso, e quando verrà imprimita e depositerà la sua tinta sul foglio bianco, prima il giallo, poi il rosso e per ultimo il blu, accadrà il miracolo: si sveleranno verdi e ombre, viola e arancio, bistri e rosati. E i bianchi saranno candide nevi e i catrami crepacci bui, i cadmi pascoli e i cromi lampi di luce, gli ocra rocce squamate e i turchesi laghi di ghiaccio, i lapislazzuli cieli profondi di notte, gli smeraldi scaglie di pini. E' il miracolo della cromoxilografia.
Una tecnica antica che nasceva per colorare santi e madonne e scene di casti amori campestri e decorare così le pareti di casa, quando i Daguerre non eran nati ancora e fantasticare di immagini scomposte in milioni di pixel, se pur fosse stato possibile nella mente più squilibrata, sarebbe potuto esser causa di rogo per supposta diabolica magia. Un procedimento tanto semplice, bastano tre assicelle, un temperino e tre colori, quanto essenziale. Ma bisogna esser bravi: come artigiani, perché saper fare bene il lavoro manuale di intaglio è indispensabile, si deve togliere tutto il legno che non serve ad essere colorato, e detto così è persin banale; come disegnatori, perché devi saper decidere dove i colori si dovranno sovrapporre, e quali di volta in volta, ora due e ora tre, e ancora quando dovranno stare da soli; come pittori, per saper accostare gli effetti delle tinte più o meno mescolate tra loro, e valutarne, prova dopo prova, la densità e la trasparenza, le opacità e le vibrazioni tonali; infine - che poi è l'inizio, perché sempre da qui si parte e si arriva, come artisti, e Verna è un artista che sceglie e incide ogni suo soggetto a seconda della poesia e dell'impressione del momento -, quella che con termine abusato si può chiamare "ispirazione", ed è proprio così, perché senza questo unicum, che solo chi sente di poter essere in quell'istante "ispirato" possiede, il lavoro sarà pur bello o piacevole, ma non sarà mai opera d'arte.
Tutto qui. I quadri, le incisioni, i disegni dovrete ora vederli, guardarli voi. Entrarvi dentro, un passo per volta, piano, con circospetto, come si fa in montagna. Conquistarli con l'attenzione e lo stupore che lassù si dedicano a una cresta innevata che la tormenta infiora di cristallo o a una guglia che il sole indora specchiando iridee miche. Accettarli come la fatica del montanaro, quell'uomo antico e sapiente che non si muove invano e non adorna l'inutile, che non conosce il superfluo e non accetta il regalo. Capirli, come quando ridiscendi a valle e la montagna rimane lontana, sempre di più, di nuovo irraggiungibile: ma tu, che lassù ci sei stato, dentro di te sai che adesso la conosci e lei ti conosce, e ti aspetterà fino a che vi tornerai, perché un po' ora siete amici.
Gianfranco Schialvino