È la maniera nera la tecnica prediletta da questa artista, forse perchè tale procedimento antico e complesso rifugge dai facili linearismi e dalle cesure tipiche del bulino o della puntasecca. Nei suoi lavori, infatti, le forme non sono circoscritte da contorni netti e ben definiti, piuttosto sembrano emergere dal nero. La luce fende l'oscurità e disvela particolari; definisce e quasi crea. Per questo le figure sembrano contagiate da una tenebra che le circoscrive e le sfuma, conferendo loro un tipico aspetto vago ed evanescente. Dopotutto i soggetti prediletti dalla Israel sono i musicisti con i loro strumenti, dunque non si potrebbe immaginare una tecnica più adeguata di questa per rappresentare la sensualità quasi astratta che spira sui musicisti, sui loro volti e sulle mani aggraziate che tengono gli strumenti. Dalla tenebra artificiale del foglio affiorano, almeno parzialmente, quelle forme su cui si catalizza un dolce vigore; su quei frammenti si concentrano un'energia ed un'espressività armoniose, che sembrano evocare la musica. Una luminosità leggera guizza sui corpi, modula le superfici, evidenzia morbidezze e sinuosità: degli strumenti e delle mani che li faranno suonare. Le membra finiscono esse stesse per assomigliare a strumenti; nelle loro fattezze c'è come un presagir la musica, con il nero del foglio a circondarle quasi fosse silenzio. La luce dunque sembra modulare le forme, come se fosse una luce del desiderio o dell'emozione. Così capita che dal buio dell'assenza, di cose e di suoni, si materializzino rispettivamente: una mano che stringe un flauto traverso, i profili armoniosi di un violino, sulle cui corde poggia un archetto tenuto saldamente da dita ansiose, o ancora l'ottone lucente di una tromba, scolpita dai bagliori. Suonano una musica del chiaroscuro e della mezzatinta quelle forme, perdute nello scuro; somigliano a note appena modulate, che in un'atmosfera pregna d'attesa sembrano riecheggiare di suoni chiamati a interrompere il silenzio. Spira la medesima atmosfera nella maggioranza dei lavori; in uno si intravedono le mani di un direttore d'orchestra che forse batterà il tempo con la sua bacchetta, con quella stessa, poi, forse, attenderà di disegnare ghirigori nel vuoto, di
fronte ad un auditorium invisibile o assente. Nei lavori della Israel e assai frequente quella condizione di trapasso, colma di potenzialità silenziose che attendono di farsi musica, anche delle forme; dopotutto se come ha scritto Walter Pater: "tutte le arti aspirano alla condizione della musica", non è ozioso ritenere che la particolare armonia che aleggia sulle opere dell'artista sia provocata appunto dal desiderio delle forme di farsi musicali. Anche le mani, al dunque sono strumenti essenziali al realizzarsi della musica; con la loro forma immobilizzata, rimandano all'attimo prima che il suono venga percepito, ad una tensione irrisolta che si cristallizza nelle forme, e quasi ne testimonia desideri e mancanze, dopotutto la musica è impalpabile e aerea per definizione, e una volta suonata è già ridivenuta silenzio. Così, quando di rado quest'artista realizza delle figure intere di musicisti, essi sono colti in momenti cruciali: mentre fanno un profondo inchino per ringraziare il pubblico del suo calore e della partecipazione, oppure mentre rincorrono la musica, con lo sguardo perduto lontano e con il corpo come lievitante; in quei frangenti il pathos sembra aver reso il musicista un ibrido: un incrocio tra l'uomo e il suo strumento; come se egli per suonare meglio avesse tentato di trasformarsi o di fondersi in esso; in questi casi, la scena pare circonfusa di una luce quasi metafisica, che si posa sui volti e li trasmuta; come se alfine anche le espressioni rapite di quei volti fossero in grado di cantare una musica del senso, che si visualizza tramite la qualità evocativa propria del silenzio. A quel silenzio dell'assenza o del foglio nero si contrappone la musica delle forme, con la luce che le illumina, evidenziando il farsi corpo di frammenti in cui sembra instillata quella sostanza che reagendo al vuoto si pone, inequivocabilmente come sostanza dell'arte.
Paolo Nardon