La grazia inquieta di un poeta dell'ambiguità ( di Marco Rosci)
Come ultimo arrivato dopo i trent'anni di critica di alta sensibilità, da Galvano e Aldo Passoni fino a De Bartolomeis, Mantovani, Balzola, Piergiorgio Dragone, Fanelli, mi sono arrogato il diritto di costruire il titolo attraverso alcune parole chiave di quella critica.
Riprendo "grazia" da Mantovani, come simbolo semantico dell'"intreccio di intelligenza e commozione - limpida commozione, soave intelligenza - ", e siamo qui sul versante critico del significato lirico ed emozionale e del rapporto con la natura e il cosmo, sviluppato a partire da Galvano, mentre sul versante della poetica significante, dell'analisi, delle sofisticate procedure materiali, De Bartolomeis sottolinea la sequenza iterativa dell'uso da parte dell'artista stesso del termine "ambiguità".
E' giusto allora partire con estratti dal testo a cui De Bartolomeis si riferisce, proposto in occasione della personale del 1988 a "L'Occhio Del Ciclone": "Partendo dal presupposto di avere opere vive, ricche di provocazione, gioia, ambiguità…uno spazio illusorio costruito con stratificazioni di segni e forme…caratterizzato da sottile ironia puramente formale e non descrittiva, dal gioco del contrappunto segnico e dalla metafora chiaroscurale dei materiali. Giocando sulla finzione dei piani apparentemente staccati, in un'atmosfera illusoria, si concretizza l'ambiguità tra segnali a diversi livelli…tonalità delicate e velature di mistero".
In quel testo, Agosti definisce le opere presentate "elaborati di spazio" e, in effetti, l'elemento e il "valore" unificante di tutta l'opera (che definirei essenzialmente grafopittorica), dopo l'abbandono alla fine degli anni '60 dell'esplicita anche se sintetica immagine paesistica, consiste nell'organizzazione e strutturazione, analisi, stratificazione di uno spazio appunto, e mirabilmente, "ambiguo", insieme fisico, ottico e fantastico magico (misterico), talora ludico e talora anche dialetticamente "incrinato" - suo termine detto a Guasco - negli Appunti di ecologia e nella serie Condizione inconscia del 1973: ulteriore dialettica e ulteriore ambiguità fra lo spazio fisico esterno della natura e dei suoi materiali e lo spazio interiore, come anche, in quella fase, tra Fontana e Burri, confessati a Guasco senza falsi pudori e complessi.
Lo spazio, dunque, che già Galvano poneva al centro delle riflessioni del pittore (e sue) in una pagina del 1972, che Mantovani giustamente definisce memorabile anche come precognizione e progettazione del futuro: "Ostinata volontà di scavo, di approfondimento, di messa a fuoco dei valori struttivi e formali, che la tela, lo spazio impongono al pittore. Perché, nella varietà dei mezzi esperiti, Agosti ha sempre proceduto ad una decantazione controllatissima dell'empito pittorico che lo stimolava ad aggredire il supporto fisico di una immagine, a scompartirne gli spazi, a incrostarne e violentarne la materia". Ma anche, e insieme, "Un lento affiorare della memoria, un'eco, quasi un'orma dell'appassionato amore per la natura, un ricordo che trema e si stinge in vibrazione indistinta di colori, di emozioni tattili, di orizzonti appena evocati e subito trasposti nelle sigle severe di un'impaginazione tutta formale…una realtà che acquista sulla tela piena concretezza, ma le cui radici tutte interiori affondano in una sensibilità trepida e, insieme, appassionata, di una natura d'uomo, d'uomo morale prima che di artista, ricco di commossa partecipazione alla vita". Due anni dopo, l'artista confermerà a Guasco punto per punto: "Mi interessa tutto quello che è umano. I sentimenti dell'uomo". E anche: "Mi interessa, in questi quadri, il problema spaziale". E' ovvio e di prammatica in questi primi anni '70, di contrapposizione dei "valori" emozionali e pittorici al grado zero e alla concettualità, il richiamo - superamento della stagione informale, appunto con i paletti fissati da Fontana appena scomparso e da Burri. Gli ultimi echi di quella stagione toccavano ancora le Nature morte del 1966-67, ma non è un caso che quello che di fatto è il primo saggio monografico sull'artista, di De Bartolomeis del 1997, illustri nelle prime due tavole a colori le "tecniche miste", ovvero collage e pittura. Note e rosso e Archi nel colore del 1963, che preannunciano a tutti gli effetti le scelte, definitive fino ad oggi, della serie Dall'alto del 1967-70, con cui De Bartolomeis apre il discorso.
Già qui emerge il modo riflessivo, minuzioso, organico con il quale Agosti persegue ed affina di tappa in tappa il suo spartito - racconto di variazioni spaziali, per musicali "contrappunti", simboleggiato in partenza in Note e rosso dai frammenti di antifonario nella texture a patchwork dei primi collages. Già altri hanno sottolineato questa componente musicale sul versante lirico della poetica di Agosti, di cui la scansione ritmica è parte integrale e fondamentale sul versante formale. E' un discorso che si espande e vibra soprattutto intorno agli anni '90, quando il linguaggio si decanta fino alla perfetta fusione di emozione naturale e di astrazione segnico cromatica minimalistica. Con meditata coerenza l'intitolazione, componente anch'essa essenziale di quella polimorfa architettura di spirito e di materia ch'è l'opera di Agosti, adombra ma anche esplicita questa fusione: Modulazione orizzontale del segno del 1988 diventa nel 1991 Modulazione orizzontale del segno (quasi un paesaggio) e nel 1992 Modulazione con Monte Ragola, con il suo omaggio allo spirito e alle forme dell'arte estremo orientale, interpretazione sostenuta da Angelo Dragone ma denegata da De Bartolomeis.
Qui è necessario soffermarsi sulle scelte e sulle strategie di posizione "laterale", ma attentissima, di Agosti nel vasto mondo della contemporaneità fra la seconda metà del secolo scorso e l'inizio del nuovo. Se guardo i segni ritmici e liberi, ma pregni di soffice, morbida espansione sui respiri cromatici di fondo, lungo gli anni '90, non posso non riflettere sulla consonanza con altri, per libera e preziosa scelta "laterali", della scena torinese nel gioco delle generazioni, da Davico a Griffa. E ancora le picchiettature e sgranature di segni nelle Genesi e Mondala degli anni '80, riemergenti poi nei '90, mi fanno ripensare alle già "storiche", inquietissime nuvole di segni di Tancredi e di Sanfilippo, tanto più se abbinate al saggio di Migliorini nel 1976 "Gradevolezza come tragica autoironia".
Allargando l'ottica al panorama europeo, rilevo, concordando, nel testo di De Bartolomeis l'emergere alle radici dei nomi di altri "solitari" ovvero laterali, Julius Bissier, Ben Nicholson. Ma altrettanto rilevo, nel bianco su bianco Poema del 1973, la consonanza in più sensi significativa con l'estrema e coeva fase "bianca" e "musicale" di Serge Charchoune.
Nel contesto vicinissimo, nel tempo, nella forma, nello spirito, degli Appunti di ecologia, altro e sottile è il discorso critico, interno torinese, proposto dall'immagine calcografica Dopo l'incendio, legata ad un altro versante dell'officina o laboratorio Agosti, quello grafico e librario, che è l'area di mantenimento e recupero dell'immagine esplicita, anche se fortemente simbolizzata. Nello specifico caso mi sembra emergere la memoria storica dei rilievi in gesso bianchi di Casorati per il teatro Gualino. Emerge anche quell'ambiguità di gioco ironico che, pochi anni dopo, caratterizza, secondo una bella pagina di Riccardo Passoni, l'esperienza singolare delle "pietre legate" titolate appunto Ambiguità del segno, nel pieno contesto dell'arte povera di materiali elementari.
E' questo un discorso di intelligenza critica di altro tipo, che lascia incertal'analisi psicologica e poetica razionalizzante di De Bartolomeis, il quale interpreta in chiave di sperimentazione notandone la contemporaneità con l'altra sperimentazione con e sulle polaroid. In realtà, l'irrazionalità delle pietre "cucite" con il filo di lana nasconde il più ambiguo e sottile contrappunto istituito dall'antinomia fra la primarietà antropologica e archetipica della pietra del nativo Appennino piacentino e l'eclatante artificialità del colore industriale arancione, verde, blu della lana.
Estremizzando il discorso, nel catalogo dell'antologica del 1993 in Palazzo Lomellini di Carmagnola, l'artista presenta in immagine fotografica, giocando nello spirito e con le tecniche rappresentative della Land Art, la variante delle Articolazioni segniche anteriore alle Ambiguità, singole pietre semplicemente "segnate" e metaforizzate dal filo di lana variamente colorato: una metafora critica, ma anche materialmente un micropanorama ambientale, una microveduta a volo d'uccello. Cronologicamente a metà strada fra i collages di pittura, veline, carte giapponesi, tessere di mosaico della serie Dall'alto, topografie ideali e fantastiche di vedute panoramiche zenitali da un immaginario finestrino di aereo "mentale" (ben altra cosa dal materialismo illusionista degli aeropittori futuristi) e i grandi dilatati Orizzonti dell'ultimo quadriennio, puri segni pittorici aperti su "luoghi poeticamente sconfinati e misteriosi" (De Bartolomeis), è un tassello centrale di quella ideale topografia dell'"invarianza" a cui lo stesso De Bartolomeis intitola l'introduzione della sua monografia.
Dalla monografia: Marco ROSCI (a cura di), Sergio Agosti, 50 anni di sperimentazione nella pittura, catalogo della mostra, Civica Galleria d'Arte Moderna di Gallarate, Chieri, Edizioni Grafica Chierese, 2002