Bella figura di artista libero, quella di Ruggeri. Una personalità fortissima, una carica espressiva straordinaria, una potenza gestuale che lo ha portato ad essere uno dei pochi artisti italiani di dimensione europea.
Con un lungo viaggio, che parte dalla sua tesi all’Accademia sulle possibili analogie fra De Kooning e Bacon (in quel periodo già dipingeva il bellissimo L’uomo col braccio d’oro, “sfida al limite delle possibilità della materia e della forma”), passa attraverso le mostre a Roma, Bologna e Torino con Saroni e Soffiantino, presentate da Carluccio, e la Quadriennale romana del 1986, dove il nero dei suoi grandi quadri diventa una negazione del preesistente, esperienza personale o acquisita. Uno sforzo di allontanamento da mimesi naturalistiche ed archetipi figurativi per la creazione di un mondo autonomo, personale, ex novo, dove è il nucleo (soltanto!) quello che conta rappresentare. Con tre colori fondamentali: il Nero, la profondità in cui ricondurre celandolo ogni riferimento-aberrazione all’essenzialità, al peso specifico assoluto, al concetto. Il Bianco, ora brillante ora opaco, sempre denso, pregno di esistenze, inizio di un giorno, di una vita; limen da cui svettare. Il Rosso, infine e sopra tutto: di guerra e di eroi, di un ideale dove sai che c’è una meta e non sai dov’è. Rosso, ancora, di eros, il pulsare del sangue che ribolle e si scatena in passione; e sfrenatezza, violenza, eruzione, esplosione. Ruggeri incisore, però, è la grande rivelazione della mostra.
Ecco come lo interpreta Francesco Poli, nell’introduzione al Catalogo generale dell’opera incisa, edito in questa occasione: «Per mantenere integra la qualità del’intervento creativo l’artista ha dovuto adeguare il suo segno alle caratteristiche tecniche dell’incisione. E ci è riuscito molto bene, frenando in parte la spinta vitalistica, e accentuando in modo specifico l’attenzione su quella che potremmo definire la sintassi formale, senza però mai scivolare nel formalismo… Fondamentale in questo senso è stata la conoscenza approfondita dell’arte incisoria, non solo dal punto di vista freddamente tecnico ma anche specialmente da quello della sensibilità estetica, che deriva dall’insegnamento all’Accademia Albertina di professori come Marcello Boglione (più scolastico) e soprattutto Mario Calandri».----
Gianfranco Schialvino