L'immagine pittorica (ed è, questo, un ulteriore indizio della aspirazione sempre viva in Perilli ad un lavoro di connessione fra codici espressivi differenti, testimoniato anche dalla collaborazione con poeti come Alfredo Giuliani o, in teatro, con il Gruppo Altro) si articola allora gradatamente in sequenza di episodi, di tracce fantasmatiche concatenate secondo uno schema narrativo prossimo a quello delle strips fumettistiche sino a recuperare, attorno al '68, all'interno dei profili instabili ed irregolari una nuova configurazione, apparentemente geometrica, che si vuole in realtà sovvertitrice della prospettiva (qualificata come "repressiva"), "folle immagine" prodotta da leggi di strutturazione automatica, di accrescimento della complessità, di percorribilità labirintica, di esaltazione dell'ambiguità comunicativa. E' quindi l'idea di trasformazione non premeditata anziché la volontà di compiutezza a generare il metodo formale di cui Perilli si vale per risolvere il problema, posto da El Lissitzkij, di "configurare lo spazio immaginario attraverso un oggetto materiale", il dipinto. Un metodo che, a partire da una figura matrice (dapprima un parallelepipedo, da ultimo un quadrato posto al margine della tela), sviluppa - scrive Elisabetta Cristallini - "automaticamente e per proliferazione altre figure irripetibili, instabili, complicate, magicamente sospese", architetture che eludono il rigore del codice geometrico attraverso il gioco di proprietà e impossibilità prospettiche, degli accostamenti cromatici ambigui per consentire il dispiegarsi delle potenzialità creative dell'irrazionale.
[Hozro.it - 21 novembre 2006]