Emilio Greco (Catania 1913 - Roma 1995).
Dopo un apprendistato artigianale presso uno scalpellino catanese e inizi difficili dovuti anche ai lunghi periodi di servizio militare, si fece conoscere ed apprezzare a partire dal '39 con il busto in terracotta de L'omino (Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna) cui seguirono, dopo la parentesi della guerra, altre teste virili i cui tratti, pur nell'individuazione fisionomica, appaiono come attutiti da un modellato dolcemente continuo: ritratti che nella loro tipologia hanno fatto ricordare esempi romani del I secolo a.C., come quello di un Norbano Sorice e di un Lucio Cecilio Giocondo.
Un'analoga condensazione plastica caratterizza il volto e le membra del Lottatore che in varie redazioni del '47-'48 è raffigurato seduto, sì che le sue forme risultano concluse entro ideali blocchi cubici che tuttavia non ne affievoliscono l'interna vitalità. Questa, con altrettanta compostezza e purezza di volumi, si manifesta nel vivace e aggraziatissimo movimento della Ciclista in cemento del'47 (Roma, collez. Repaci) cui l'artista ha dato una incompletezza che non ha niente di frammentario. Esso è il primo degli affascinanti nudi femminili prevalentemente fusi in bronzo dal Greco lungo tutto il corso della sua feconda attività.
Nella straordinaria varietà dei loro atteggiamenti, ora di stasi, ora di movimento, seduti, accoccolati, in cammino o in corsa (come la stupenda Pattinatrice del '47, ripresa nel '59) oppure superbamente erette ad immergere nella luce il fiorire delle loro agili e guizzanti membra di adolescenti, come nel mirabile ciclo delle Grandi bagnanti dal '56 in poi, essi costituiscono nel loro insieme il più appassionato e sensitivo poema, dalle molte strofe, con cui la scultura abbia esaltato la bellezza muliebre: dove l'Eros, che ne è il primo motore, si sublima nella purezza dei torniti volumi e nella suprema eleganza dei gesti che emulano, superandoli per la complessità e ricchezza degli snodati ritmi compositivi, i più raffinati bronzi del Manierismo (pensiamo alle Ninfe dell'Ammannati e alle Veneri del Giambologna).
Notevoli sono i suoi numerosi ritratti di giovani donne, dove all'incisiva scansione dei tratti fisionomici corrispondono le mosse e profonde striature delle copiose matasse dei capelli: Maria Baldassare, Anna Tait, Patricia, Michela, Elka, Birgitte ed altre sono indimenticabili presenze che nel loro pensoso e grave raccoglimento sembra che celino un segreto d'amore.
Nel '56 il Greco compì, in seguito ad un concorso, il Monumento a Pinocchio per il paese di Collodi: un'aerea fantasia che con lieve movimento a spirale congiunge appena e slancia verso il cielo le figure del celebre burattino, della Fata e del gabbiano in un compenetrarsi di pieni e di vuoti praticabili (dai fanciulli frequentatori del parco dove la scultura è ubicata) che assumono anch'essi una «forma» grazie ai contorni interni dei volumi di diverso e ben calcolato spessore che li circoscrivono.
Dopo questa fiabesca creazione che, pur da alcuni discussa per la sua novità inventiva, diede grandissima popolarità al Greco, questi attese ad altre importanti opere in bronzo. A1 '61 appartengono i drammatici e scabri altorilievi per la chiesa dell'Autostrada del Sole dove raffigurò martiri e miracoli di Santi, e tra il '61 e il '64 modellò le porte per la facciata del Duomo di Orvieto dove, per non turbare la delicata armonia delle trecentesche steli figurate che le fiancheggiano, tenne bassissimo il rilievo delle sei Opere di Misericordia di quella centrale (le laterali hanno soltanto due agili coppie di angeli che si staccano da ampi fondi minutamente tassellati), affidando la leggibilità delle figure alla melodica continuità dei profili che racchiudono le loro masse donatellianamente depresse e rese vibranti dalle fitte incisioni lineari che ne solcano le superfici.
Con un analogo, ma più risentito stile di modellato il Greco ha poi eseguito nel '65 per San Pietro il monumento in bronzo a Giovanni XXIII per il quale, riprendendo e ampliando un motivo della porta orvietana, ha celebrato quel santo papa scegliendo la manifestazione più toccante e ricca di umanità del suo apostolato; rappresentandolo cioè mentre visita e conforta gli ammalati e i carcerati.