Renzo Vespignani - Anima mundi e visione dell'intimo
a cura di di Alberto Gianquinto phil
Arte & Carte N. 4 Autunno 2001
Molto è stato detto su Vespignani, con intelligenti e assai acute
analisi. Forse - essendo state, queste, sempre legate ad esposizioni
ben determinate, a prospettive circoscritte, per quanto
ampie - quel che non c'è ancora, e che vale qui sottolineare, è la
linea dell'insieme, anzi: l'opera artistica, nella prospettiva storica in
cui si colloca, indovinando il 'senso' che il lavoro assume, come
momento cruciale dell'arte figurativa, nella crisi più generale di cui
indubbiamente l'arte contemporanea soffre. Val bene guardare,
insomma, all'insieme, per considerarlo con la prospettiva occorrente
a collocarlo in un futuro anche lontano e inquadrare tutta l'attività -
diciamo dal '44 al '56, al periodo di 'Il pro e il contro', al '69 di
'Imbarco per Citera', al '71 dell''Album di famiglia', al ciclo di 'Tra
due guerre', a 'Come le mosche nel miele', al 'Manhattan Transfer' -
con quell'angolazione, capace di trascendere la specificità dei singoli
contenuti e delle relative particolarità formali, per coglierne i caratteri
generali e la loro valenza, nel tempo di un'arte tout court.
L'arte - e la pittura, dunque (e quella figurativa non fa certo eccezione)
- è arte di memoria e d'immaginazione, sempre, anche se - e
quando - più radicata sembra al reale e al presente. Per questo occorre
essere sospettosi di fronte a dichiarazioni di realismo - è stato detto
dell'inutilità di un'etichetta di realismo1 e di distanza dal racconto
realista - o di neo-realismo, sull'opera di Vespignani: non si può
dimenticare una sua dichiarazione su Van Gogh: "non sospettava,
ancora, che la tecnica è emozione "fattiva"; e che la natura insegna
solo se trasferita nella zona "crepuscolare" della memoria, dove il
documento si trasforma in allucinazione". Memoria e allucinazione
immaginativa, in cui si cancella e si ricompone, sul piano del fantastico,
la realtà; e questo, storicamente, è anche l'esito generale dell'arte
dell'immagine visiva dopo l'impressionismo, ancora essenzialmente
arte della visione oggettiva e dell'imitazione naturalistica: arte
di 'mimesi' effettiva della natura, nella visione e nella rappresentazione.
Ma come s'esprime, ora, in Vespignani, la memoria e qual'è la
forma 'sintattica' che prende l'immaginazione? Quali le differenze,
che gli danno individualità irripetibile, se si sono anche individuate
ispirazioni e analogie con i Grosz e i Dix (ma i temi della denuncia
e della condanna morale non sono propri della tematica di
Vespignani, né lo stile corrosivo del primo né la visione allucinata del
secondo fanno parte del suo bagaglio formale); quali, se si sono giustamente
colte - ma vanno pure specificate - le distanze dal clima
decadente ed 'estenuato' della scuola romana dei Mafai e degli
Scipione, o se, nel clima d'un informale imperante, il neo-figurativo
non basta di per se stesso per appiattire i differenti spessori di Attardi
o Calabria o Guerreschi, di Gianquinto o Guccione o Ferroni, su
quello di Vespignani? Senza contare gli altri.
L'atto del dipingere o d'incidere è tecnica, ma distinta, è 'materialità',
ma modo dell''agire' in rapporto diretto con la rappresentazione
mentale, che è immagine-rielaborazione della percezione del reale:
il risultato dovrà essere visibile nella struttura, nella sintassi dell'opera,
significante l'immagine (che costituisce il correlato significato, da
intendersi, cioè, come svelamento del significato, per avere il quale
occorre interrogare poi la relativa materia pittorica:la sua sintassi,
appunto).