Ho scritto altra volta che l'arte di Graham Sutherland offre insieme l'aculeo delle spine e il profumo della rosa. Le sue opere possono infatti suggerire sensazioni contrastanti. Man mano che l'occhio dello spettatore supera la soglia dell'incontro visuale immediato e penetra all'interno delle immagini pittoriche di Sutherland, un interno che sovente è un labirinto, la gradevolezza degli effetti, la brillantezza delle tinte e l'eleganza del disegno cedono il passo ad un senso di disagio psichico. Allora è facile avvertire uno stato d'allarme.
Tante cose amate compaiono squarciate, disseccate e il loro ventre rivela errori genetici, orrori morfologici, ibridazioni sconcertanti e sulfuree: tante cose amate, con le quali abbiamo giuocato, alle quali abbiamo dedicato come a depositari fidati i nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre speranze, i nostri ricordi. “Cet herbier est pour moi un journal... » scriveva Rousseau.
Pur così contrastanti sono tuttavia sensazioni che restano in bilico. L'opera di Sutherland è infatti il luogo del più delicato e più resistente equilibrio dei valori tradizionali dell'arte inglese.
Valori essenzialmente romantici, fondati su un rapporto costante tra cultura e istinto, tra esperienza e immaginazione fantastica: tra la presenza dell'energia dell'uomo sulla scena della storia e la presenza un poco misteriosa e un poco magica della natura intorno all'uomo. Non come semplice scenario, ma come condizione e stimolo della sua esistenza. Della natura e delle sue inesauribili energie. Dello spirito della natura.
Sutherland rispecchia quei valori, li esalta anzi li eccita secondo le esigenze di una sensibilità tutta moderna, capace di percepire gli attriti più leggeri, i fruscii, il dialogo passante in sordina tra ciò che si consuma e ciò che dura, tra ciò che muore e ciò che nasce; capace di immaginare e progettare nuovi ordinamenti del mondo e nuove alleanze; capace di assumere i ritmi stessi dell'esistere come si manifestano all'origine nelle oscure profondità dell'animo umano e nelle radici della sua incalzante germinazione.
Ci sono artisti oggi che portanosulle loro spalle le palpitazioni convulse dell'esistere con lo spirito umile e paziente del Cireneo, sicché la loro opera non può essere altra cosa che la materia stessa in cui si manifesta e si esprime; o l'impronta visibile sulla materia della gestazione e della gestione della realtà nel suo farsi.
Per intendere il carattere sostanziale dell'equilibrio di Sutherland basta confrontare rapidamente la sua opera con quella di due altri artisti inglesi contemporanei, che hanno raggiunto una grande fama: Bacon e Moore. Nell'opera di Francis Bacon, indifferente anzi estraneo al paesaggio, cioè all'ambiente in cui si genera e si modifica l'esistenza, lo spazio della vita e il mondo intero si riducono al cubo di una stanza, ad una gabbia stretta opprimente ossessiva.
I suoi personaggi portano addosso il proprio malessere, le proprie nausee ed i segni delle tumefazioni e delle cicatrici profonde, che « l'altro da noi » ci infligge ogni momento, come una camicia di forza da cui tentano invano di liberarsi.
Nell'opera di Henry Moore lo spazio è la grande scena dentro la quale le figure si collocano come all'interno di un modello monumentale; punti di riferimento, a volte semplici simboli, che tentano di fondere l'ambiente naturale con l'artificioso o di istituire la trama di un dialogo che resta ambiguo, resta per lo meno sospeso, perchè sono quasi sempre figure richiamate di antichi “gisants” o forme meramente allegoriche d'altri tempi e d'altri eventi. Nell'una e nell'altra si manifesta una tensione profonda, diversamente motivata e diversamente effigiata: ora con forme dirompenti ed esplosive, ora con forme lisciate, quasi bendate.
Forse nell'opera di Bacon la coscienza di essere naufrago su un'isola provoca uno strano orgoglio e cocenti frustrazioni; e i suoi personaggi sono infatti orgogliosi, sfrontati, aggressivi e al tempo stesso frustrati e depressi. Nell'opera di Moore l'isola è una forma della solitudine, del distacco, un ancoraggio propizio alle evocazioni, ai miti, alle chimere o un punto d'imbarco per Citerà.
Sutherland, muovendo dalla densa, religiosa atmosfera dei paesaggi pastorali di Samuel Palmer e dalle eroiche e insieme malinconiche armonie visionarie di William Blake ha poi incontrato la secca incisività espressiva di Picasso, e lo smaltato nitore lineare e cromatico di Matisse; muovendo dalle natalizie notti lunari di Palmer e dalle cosmiche folgorazioni di Blake ha poi incontrato l'abbagliante luce quotidiana del Mediterraneo.
Come una spola egli ha ordito a poco a poco la sua trama fitta ed il suo felice equilibrio intorno ad un nucleo reale e fantastico definito dalla sua capacità di riconoscere nel tronco secco trascinato dalla corrente del fiume, nella radice contorta o nel semplice cio-tolo un segno anzi un sigillo dell'universo in ogni particella del creato tutte le energie, le spinte in a-vanti le cadute della creazione.
Nonostante che abbia realizzato alcuni dei più bei ritratti del nostro tempo, di Churchill per esempio, di Somerset Maugham, di Arthur Jeffries e grandi composizioni d'insieme, come la Crocefissio-ne per la cattedrale di Coventry, il vero campo d'azione di Sutherland è la natura, indagata con lo spirito del poeta e del ricercatore. “Promeneur solitane”, romantico anohe in questo modo di vivere la sua vicenda d'uomo e d'artista, Sutherland si ferma a meditare davanti a tutte le cose della natura. Cose vive, che esprimono enfaticamente ed emblematicamente la vita, insetti, rovi, tuberi, radici, polloni vegetali che gemmano, anche quando inaridiscono, si svuotano, si sfibrano, si deformano; o che rivelano la sostanza della terra, sassi, pietre, ciotoli, frammenti di roccia che il vento e l'acqua hanno corroso, che le ombre ora divorano generando illusioni di mostri.
C'è una profonda tensione anche nell'opera di Sutherland. Le rocce scoppiano mostrando denti di melagrana; le croci fatte di rovi e di spine frullano come volani impazziti; le radici formano grovigli e nidi di vipere. Quel ch'egli chiama lampada, pendolo, idrante, insetto, dà sempre l'impressione acuta che sia un coacervo di foglie, di sterpi, di canne svuotate e accartocciate su ingannevoli effetti di luce e d'ombra; oppure che sia una concrezione di cristalli, di scheggie, di filamenti di roccia, o un groviglio di aculei che l'immaginazione trasforma in uncini, ganci, ganasce d'insetti, artigli di uccelli rapaci, predatori. Una gemma può allora avere la durezza del becco o dell'unghia; un intrico, di rami può mimare la secchezza metallica, gli snodi, le giunture, gli ingranaggi di una macchina.
Tutto questo viene espresso da Sutherland con una gloria di colori. Dai più tenui e delicati anzi fragili, come i grigi appena estratti dalle ceneri tiepide o dalle cave di pomice, come i cerulei trasparenti di certe acque di fiume e dei calici dei convolvoli ad altri ancora bassi, i bruni, i verdi muschiati densi di ombre liquescenti, sino ai violetti luttuosi, ai verdi, ai gialli brillanti come il giallo di Napoli, ai rosati, ai carnicini, ai rossi, tutti i rossi, il carminio, il geranio, il solferino, il pompeiano, in uno straordinario accordo alto di tono ed aperto a improvvisi acuti timbrici. Così alle tensioni di fondo si accumula una tensione che si esprime attraverso i segui e i colori. La natura diventa una splendida belva acquattata, mimetizzata tra le erbe, le acque, le pietre, pronta ad aggredire. Il grande giuoco di Sutherland è quello di domare la belva, di metter la briglia ai mostri meravigliosi evocati dall'immaginazione, alla maniera di Redon.
Le opere selezionate per questa mostra, che Acqui allestisce come omaggio ad un grande della pittura, formano un panorama breve ma intenso di lavori eseguiti quasi tutti dopo la fine della guerra, dopo il primo soggiorno dell'artista sulla Costa Azzurra. All'interno di questo panorama è possibile riconoscere il progressivo avvicinamento delle immagini pittoriche alla loro matrice naturale, che non vuol dire progressivo allontanamento dai temi e dai motivi originarli: la selvaggia costa atlantica del Pembrokeshire, le colline selvose del North Downs, le lande della Cornovaglia. Non vuol dire neppure l'abbandono dello spazio fantastico, intriso di sensi misteriosi, di presenze che stanno di fronte a noi e contemporaneamente in noi.
Quei temi e quello spazio e la fascinazione della natura che li genera sono ancora il mondo pittorico di Sutherland. Se ne intravvedono sempre le linee di fondo, su uno schermo non tanto lontano. Sono sempre curve falcate, rapide accensioni quasi di fuochi di colore, rapide impennate del segno a chirografare le incantevoli figure che saldano insieme tante forme disperse e slegate della nostra realtà.
Ma con la cautela, l'amorosa umiltà, la tenera sospensione dei gesti di uno che sa ricostruire una mappa preziosa, di ricercare oltre i terrori di oggi il disegno di un paradiso perduto.