ALBERTO BOSCHI LA NATURA L'APERTO LA FIGURA
"... ben presto l'aria morta della stanza si riempì e scese a schiacciarci con la sensazione (anche se le parole in questi casi non servono) di una forza muta e vincolata che lottasse contro bavagli e legacci per sgravarsi l'anima di una chiara parola". (Rudyard Kipling, // chirurgo della casa, citato da Guido Ceronetti in Altrove).
19 Gennaio 2004. Di primo mattino, "faccio il giro della piazza". La città-palude è livida; lame di cielo creano strappi di luce, effetti spettrali. La neve di ieri si è dissolta, è scomparsa. Ne residuano tracce ai bordi, cenci sporchi, garze purulente.
C'è sempre il Tobbio, pensiero e memoria, che ci accomuna, ci affraterna. Il Tobbio, nostra ricchezza e nostra povertà, nostra gioia e nostra inquietudine.
Il Tobbio, caro Alberto, è valenza, alternativa, speranza, religione. E' l'Angelo di Ravasenga, il grande Angelo d'argento, nel suo svanire.
II.
LA DUPLICE MUTAZIONE. DI CONCETTO E DI LINGUAGGIO Che Alberto Boschi sia pittore vero, pittore di pittura-pura, di pittura-pittura, è inoppugnabile. Che abbia sempre declinato colore e materia, luce e immagine, è indubitabile. Che la sua "genesi" sia la natura, è nozione comune, comunemente e ampiamente accettata. La natura delle stagioni, evolutiva, "lucreziana", nel suo farsi. Questa, la premessa.
Di recente si è annunciata, per Boschi, una duplice mutazione: di concetto e di linguaggio.
Le due posizioni sono fra loro intersecate e complementari. Consideriamo, in primo luogo, la mutazione del linguaggio che servirà a chiarire il cambiamento che sta a monte, quello del pensiero, prodotto da un diverso rapporto con il reale.
Il nuovo (o rinnovato) tramite espressivo, fatto pur sempre di colore - luce -materia - immagine, si configura in una amalgama di spessore, compattezza, durezza, adamantinità inedite, non più atmosferica, di minore referenza naturalistica.
Si inaugura una ricerca di sintesi, di unità, di sincretismo, in un trapasso dalla consistenza organica (Morlotti, Moreni, Mandelli, il primo Burri) alla concretezza minerale (de Staél, Chighine, Fasce, Milani), pur sempre restando in ambito di naturalismo informale.
Questo virare sub-stanziale del tessuto pittorico nasce dalla "cognizione del fango", alluvione di Alessandria, 1994.
Il fango è stato - a mio avviso - l'elemento fisico, il connettivo della sostanza del dipingere, ma è stato altresì il simbolo della condizione umana, dell'essere e del non- essere: l'uomo nasce dal fango, viene modellato con il fango, ritorna nel fango.
Se il fango è stato l'equivalenza, il collante della textura pittorica, questa è diventata, a sua volta, l'espressione di una idea archetipa ed esistenziale che è anteriore, primordiale, l'idea cioè di una recuperata centralità dell'uomo nella natura. Non più identificazione, coinvolgimento totale - teoria propria dell'Informale - ma centralità riconquistata, antropocentrismo riproposto. Di qui il problema di reinserire la figura umana in uno spazio di natura di nuova concezione, recente versione di una secolare questione di pittura e di pittori. Rammentiamo alcune tappe, antiche e contemporanee, della sintesi o simbiosi uomo-natura: dalla dimensione arcadica di Giorgione alla situazione geometrico-prospettica di Piero, dalla temperie panico-totemica di Cézanne agli inserimenti psicanalitici di Munch, alle proiezioni tragico-esistenziali di Bacon o pan-sessuali di Morlotti.
III.
LA NATURA L'APERTO LA FIGURA
Boschi diventa fautore di una prospettiva di natura che ha i caratteri dell'Aperto, secondo il significato rilkiano espresso nell'ottava Elegia. Al concetto di paesaggio, inteso come la risultante dell'intervento umano sulla natura, subentra la veduta o visione dell'Aperto. L'Aperto come entità spazialmente non definita.
L'Aperto non è solo il deserto, il mare, la veduta percepita, è piuttosto il luogo non-luogo. Il luogo che non ha orizzonte, la cui proiezione non è geometrica, di concezione rinascimentale, bensì ha dimensione totalmente interiore, riassorbita, concentrica o verticale.
E' il luogo della memoria e della nostalgia più che dello sguardo, luogo che non conosce confine e tempo, dunque infinito e atemporale. L'Aperto è la sede deputata dove ricollocare l'uomo, è la condizione - non soltanto medium fisico - in cui reintegrare la figura umana. La figura umana vi è rappresentata non nella sua totalità, bensì, semplicemente, con il volto, la parte per il tutto, la parte più espressiva dove si concentra la consistenza psichica e spirituale più che fisica. Tale immagine, che aderisce al substrato con la sua essenza, con i suoi nuclei emittenti e con le sue diramazioni propulsive, diventa icona, "veronica", sudario, maschera di radiazioni interiori estrisecantesi. Apparizione o epifania appena percettibile, ma ben presente, radicata, stante, impressa come conio nel metallo.
Lo spirito è quello degli Otages di Fautrier. Oppure quello della "poetica del volto" di Bendini, su cui Arcangeli si era soffermato: "...forme di volti, quasi stupite veroniche, dove la canna di un naso, l'orbita d'una fronte sembrano accennare a un ritmo grande e solitario d'architettura, o un occhio appena sbarrato lacrima ombre".
L'insistere sulla ostensione del volto, come concentrazione dell'espressività e indagine nell'area dell'essere più che dell'apparire, fa ipotizzare che queste immagini di Boschi possano essere autoritratti o, meglio, una forma di "autorappresentazione con o senza autoritratto", nella definizione di Fausto Petrella, neuropsichiatra e analista.
Sul concetto freudiano di "percezione endopsichica", Petrella scrive: "Il punto di svolta, emblematico nel mutamento novecentesco nell'autoritratto, è espresso dalla rinuncia alla fedeltà dell'immagine speculare come punto di partenza dell'autorappresentazione. La nuova posizione, non semplice da assumere, è ben documentata in questa annotazione programmatica nei Diari di Klee a ventiquattro anni: "compito scherzoso: ritrai te stesso senza specchio, senza le illazioni che riceveresti dalla tua immagine riflessa in uno specchio. Esattamente come ti vedi con l'occhio della mente, senza guardarti".
Dunque, il fenomeno di "endoscopia" psichica, il ritrarsi dall'interno, dal profondo, mediante I' "occhio della mente", starebbero alla base del proiettare l'immagine umana o l'autoimmagine sullo schermo dell'Aperto, nell'attuale pensiero pittorico di Boschi.
IV.
POSTLUDIO
29 gennaio 2004. Dal Titanic, che ancora (fino a quando?) emerge dal limo della città-palude, intuisco, cerco di indovinare il tramonto che si propone nella sua autocelebrazione. Un tramonto acceso, cruento, sontuoso, barocco, che solo gli amici, georgofili e giardinieri, di V. P. potranno celebrare appieno in tutto il suo fasto sulla soglia dell'Infinito. Qui si vive di eventi parcellarizzati, di schegge di realtà che solo nell'interno ci è dato ricompattare nella loro unità, confermando l'ipotesi accreditata da Fritjof Capra: "Una teoria delle particelle subatomiche di questo genere rispecchia, nella sua forma estrema, l'impossibilità di separare l'osservatore dal fenomeno osservato... In definitiva, ciò significa che le strutture e i fenomeni che osserviamo in natura non sono altro che creazioni della nostra mente che misura e classifica. Ed è questo uno dei canoni fondamentali della filosofia orientale..." (Il Tao della fisica, Adelphi Ed., 1982). Per noi non è solo un problema di filosofia o di fisica. E' un problema o una dimensione di autobiografia, dell'esserci, della partecipazione panica (o "pansessuale", direbbe Morlotti), della apertura sull'Aperto.
Dino Molinari