In uno scritto del 1992, dedicato a Mario Calandri, Paolo Bellini osservava : " A guardare bene quasi tutti i maestri calcografi del XX secolo sembrano apparentati da un'identica caratteristica, la solitudi ne, che comporta il disinteresse per le mode critiche e per il mercato. Quando Morandi e Bartolini inci devano le loro cose migliori erano soli e operavano in un deserto...". (1)
Per i tempi d'oggi, forse, se non di deserto, per l'incisione si può parlare di landa desolata, arida alme no quanto la contemporaneità. Una rassegna di opere incise di Calandri si può quindi leggere come coraggioso atto di omaggio da parte degli organizzatori e come occasione, per noi poveri calcografi "rari nantes in guergite vasto" di trarre conforto dal frutto luminoso (vera stella polare) di una vita d'artista fra i più grandi del suo tempo.
Sappiamo quanto, nel linguaggio incisorio, i modi condizionano la rappresentazione: in questa, arte e
tecnica si fondono e la prassi determina (anche pesantemente) la volontà creativa.
E' il tormento dell'incisore: consumare la prova attraverso la conoscenza, e uscirne indenni nell'ispirazione.
Calandri percorre tempi, luoghi, emozioni mantenendo lo studio costantemente al servizio della poesia ed esercitando un tenero dominio verso gli strumenti del mestiere chiamati a secondare i dettami del
cuore.
L'incanto di tanti fogli del maestro nasce appunto dall'esperienza sorgiva del descrivere ottenuta sem pre e comunque con un lessico mutante e cedevole all'impeto dell'urgenza creativa Tutto questo è dichiarato con la naturalezza del genio che, d'istinto, coglie verità tanto palesi da appa rire occulte (...così la scoperta del fungo, celato ai più nonostante le esibite grazie, come ironicamente noterebbe il micologo Calandri).
Un percorso lungo più di mezzo secolo (1938 data la prima incisione qui presentata, e 1991 l'ultima) documenta l'eterna giovinezza dell'artista, capace di rigenerarsi continuamente nell'estro e nelle emo zioni; se queste sono ricorrenti, se tagliano la vita ri-scoprendo nervi sensibili, nulla è più distante dalla stanca riproposizione di abusati stilemi. Anche in questo sta la grazia di Calandri: ritrovare per trovarsi.
"Le falene"del 1952 sono tra le prime protagoniste di un insettario che brulica ed espande nell'imma ginazione, rivestito di velluti impressi, crocchiante di elitre violate dallo spillo dell'entomologo, oppure ronzante di bombi o vespe colte in volo da un segno volante anch'esso ("Fichi e vespe" del 1991). Le snelle figurette di pescatori e bagnanti di tante incisioni degli anni '40 riappaiono eternamente efe biche in "Libeccio" del 1965/82 o, quasi al termine del viaggio in "Al circo" del 1990. Ogni volta una carezza nuova, un gesto di svelamento che allunga le membra acerbe e scioglie le carni, una linea che in due tracce decisive inventa indumenti e costumi.
E gli interni, i cortili, gli anditi ombrosi che odorano di gatti e vecchie damigiane assurgono ogni volta a paesaggi della memoria ed ogni volta, di fronte al foglio impresso scopriamo che quel panno steso, agi tato dal vento è una nuova meraviglia di sapienza tecnica (segno che si fa aria e suono, materia gonfia al soffio di ardite imprimiture).
Così i misteri domestici che s'intuiscono dietro i vetri della finestra di fronte ("Cortile e finestra" del 1956) vivono in anguste prospettive di balconi e scale alla Escher, oppure svaniscono quando, sullo stesso palcoscenico, una tenera mano delinea un mazzo di palpitanti viole del pensiero ("Le viole" del 1980).
Quanti fiori, veri o finti, nelle incisioni dell'artista, e quanti pelali trasfigurati dal segno crudele e sontuoso della puntasecca o dalla tramatura argentea dell'acquaforte brunita! Stregati dalla luna o compressi in una teca di vetro (commovente e superba la puntasecca del 1985, ultima incisione di questo soggetto tanto amato, e qui finalmente depurato nello scabro magistero della più diretta delle tecniche calcografiche) sono illusioni, fantasmi di forme vegetali. Come nota ancora Bellini : "...i «oggetti di Calandri sono spesso dei non-soggetti, nel senso che si riferiscono " qualcosa che è tutt'altro da (pianto immediatamente sembrerebbero voler dire." (2)
Tanto intimamente connesso con quanto descrive, l'artista, novello Proteo, diviene lui stesso partecipe multiforme della rappresentazione, attore dei suoi teatrini, fiore che lentamente si disfa, lepidottero in mutazione.
E, ad acuire il mistero, chiama noi stessi a partecipare al gioco: l'istanza di coinvolgimento è tanto forte che punge i sensi (l'odore di salmastro delle marine in burrasca, il sentore di dolce corruzione delle corolle consumate, l'afrore selvatico delle scimmie...) fino a sollecitare l'es|perienza tattile che conduce a scoprire quanto può essere avventurosa la prova della fisicità ilei foglio inciso. Oltre l'impronta della lastra infatti si apre l'universo delle tracce e delle corrosioni, degli impasti e delle trafitture che quasi impongono l'atto ingenuamente fanciullesco del lambire: varcata questa soglia non resta che consegnarsi alla fascinazione definitiva, al sedimento estremo di vita e sentimento.
Vincenzo Gatti
(1-2)
PAOLO BELLINI, Mario Calandri e i significati sfuggenti in Mario Calandri, cinquantanni di incisione 1940-1990 - Grottammare 1991